In ricordo di Marina Saba

RICORDI DI MARINA SABA

E’ deceduta a Sassari a 91 anni la scrittrice e storica sarda Marina ADDIS SABA, per diversi anni presidente della Sezione ANVRG di Sassari.

Ne ha tratteggiato la figura e l’opera un articolo pubblicato su “La Nuova Sardegna” ricordando i numerosi libri pubblicati sui temi del fascismo, della Resistenza e della condizione femminile. Consigliera nazionale per più mandati, aveva curato per la nostra rivista “La storia delle donne”, un bell’inserto uscito a puntate tra il 1998 e il 2000.

In occasione del bicentenario della nascita di Anita Garibaldi la ricordiamo riproducendo la copertina di un Quaderno di “Camicia Rossa”, edito nel 1999, dedicato all’eroina dei due mondi “dentro e fuori del mito” e con un ricordo di Paolo Lisca, docente e studioso tempiese nonché vicepresidente della sezione ANVRG di La Maddalena. Condoglianze alla famiglia dall’intera ANVRG e dai lettori della rivista associativa. (A. Tedde)

In memoria di Marina Addis Saba

La guerra si era portata via il fascismo, presto sarebbe finita l’occupazione tedesca e fascista, perché non avevo potuto partecipare anch’io alla lotta in corso, alla liberazione per esprimere tutta me stessa, i miei sentimenti di avversione per coloro che avevano calpestato la libertà di tutti e fatto soffrire mio padre? Questa nostalgia, quest’invidia quasi, sono rimaste una costante della mia vita; Lisa Giua, che c’era eccome nella Resistenza, mi aveva raccontato che, incontrandola dopo la liberazione, Calvino le aveva detto: ‘Quanto dovete esservi divertiti!’. Così la pensavo anch’io, come doveva essere stato bello lottare, con gli amici, vivere insieme, insieme rischiare la vita!”. Così scriveva Marina Addis Saba nella sua autobiografia dal montaliano titolo “Non recidere forbice quel volto”, pubblicata con DoraMarkus nel 2004. E in queste parole è contenuta la cifra della sua esistenza: antifascismo, libertà, Resistenza, lotta. La storica sassarese ci ha lasciato alla fine di ottobre 2021 all’età di 91 anni.

A dire il vero non amava essere definita “storica” bensì “scrittrice di storia”.

E di storia scrisse parecchio, spaziando attraverso una miriade di argomenti ma privilegiando le tematiche femminili e resistenziali, ancora meglio quando i due elementi si coniugavano: Storia delle donne una scienza possibile, 1985; Gli studi delle donne all’Università, 1986; La politica del regime fascista nei confronti delle donne, in Rivista Abruzzese di studi storici, 1985; Io donna-persona: Appunti per una storia della legge contro la violenza sessuale, 1985; La corporazione delle donne, 1988; Anna Kuliscioff vita privata passione politica, 1993; Le madri della Repubblica, le donne dell’Assemblea Nazionale Costituente, in Quaderno della Commissione Pari Opportunità, 1996; Partigiane. Le donne della Resistenza, 1998; La scelta. Ragazze partigiane e ragazze di Salò, 2005; Amorosi assassini. Storie di violenze sulle donne, 2008; La farnesina. Giulia Farnese e papa Borgia, 2010.

E poi ancora Giuseppe Garibaldi, Emilio Lussu, di cui curò le biografie. “Crede forse che la storia l’abbia imparata da docente universitaria? Niente affatto: l’ho imparata insegnando nei licei, è lì che ti fai le ossa!”, mi disse anni fa quando le chiesi, forse unico studente maschio a fronte di una folla di studentesse, di poter fare la tesi con lei in Storia contemporanea.

In quell’occasione parlammo di storia e di Sardegna e, sebbene ci fossimo appena conosciuti, mi trovai a mio agio confrontandomi con i suoi modi informali e garbati. Entrare in confidenza, capii più tardi, conoscere l’altro era la sua tattica per stabilire un contatto intellettuale, necessario per portare avanti un progetto comune. Compresi che aveva intenzione di accettare ancor prima che me lo confermasse: la tradirono l’entusiasmo e la vivacità dello sguardo, l’attenzione e la curiosità nell’apprendere di una vicenda poco nota, l’argomento della mia tesi. “Garibaldi colonizzatore della Sardegna? Bisogna approfondire”.

E approfondimmo, insieme, forse perché aveva intuito che fra le pieghe delle sue tante conoscenze era rimasto impigliato un aspetto del Generale insolito e per lei intrigante. Furono mesi frenetici di ricerche negli archivi e nelle biblioteche, fra Sassari, Roma e Bologna. Lei c’era sempre e io la raggiungevo, col faldone sotto braccio, dovunque fosse: nella sua casa di Viale Adua o in un bar del centro, in Facoltà o nella sua casa di Stintino. Era infaticabile e sempre sul pezzo, quando ci incontravamo ricordava immediatamente dove eravamo rimasti, pronta a proporre una soluzione ai piccoli problemi che talora si presentavano. Intelligenza viva, sempre diretta, sapeva cogliere i nodi strutturali di un evento, collegarli fra loro, inserirli nel flusso della “grande storia”.

Ammetto che fu allora e grazie a lei che mi appassionai alla storia e alla ricerca, pur vedendola come una montagna inarrivabile. Marina Saba era una donna appassionata fin da giovane. Nel libro in cui racconta la sua vita rintraccia, con memoria viva e talvolta commossa, la propria vicenda giovanile trovando il filo rosso che lega gli avvenimenti privati a quelli pubblici: i soprusi del regime fascista e il padre cacciato dal lavoro, Radio Londra e lo zio Michele Saba, il primo amore e gli americani, la vittoria della Repubblica e la delusione sentimentale. Si mette a nudo anche quando descrive le prime esperienze di giovane docente agguerrita, fra il liceo e l’università. Ha vissuto in prima persona gli “anni caldi” del ’68, o meglio del ’69, a Sassari (“Il timore che gli studenti, lasciati a se stessi e ad interpretazioni frettolose di Marx o di un marxismo per ingenui, volgessero verso la violenza e il gruppettismo era sempre più fondato per me”).

Con accenti commossi ricorda l’incontro determinante con Antonio Pigliaru, amico e maestro di vita, la sua morte. Ha vissuto a lungo, troppo per non essere funestata da lutti dolorosi: la morte del primo marito, del figlio Antonio anni fa, della figlia Elisabetta, cui era legatissima!, appena lo scorso anno 2020: “Ora so per certo che il più gran regalo che si deve dare ai figli è quello di amarli – scriveva – , mio figlio, il maggiore, non è stato sicuro del mio amore se non nei suoi ultimi giorni, solo allora, mentre cercavo di nascondere il mio disperato dolore, compresi che era meglio lasciargli capire cosa sentivo: ora lui sa, dovunque sia, quanto amore gli ho portato e gli porto, sa anche che ho cercato di essere felice, come mi ha raccomandato nella sua ultima lettera e quanto sforzo mi costa”.

Quando nel 2004 pubblicai con DoraMarkus un libretto “Garibaldi ed il miele amaro”, estrapolato dalla tesi di laurea, la chiamai al telefono. Dopo che le ebbi accennato al libro, mi disse soltanto: “Benissimo, quando lo presentiamo?”.

Rividi quello stesso entusiasmo da ragazzina di un tempo; la vidi difendere a spada tratta il mio lavoro di fronte alle critiche di alcuni, ogni volta argomentando i suoi interventi con arguzia e competenza; girare per il nord della Sardegna con me e l’editore Paolo Buzzanca per presentare i nostri rispettivi libri. Furono giorni intensi in cui respirammo cultura a pieni polmoni, incontrammo persone di ogni genere. E capii che anche questo lo dovevo a lei. (Paolo Lisca)